Felipe – Un racconto di Elisabetta Casagrande

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Pubblichiamo il racconto di Elisabetta Casagrande, che frequenta il nostro Laboratorio Advanced. Atmosfere umide e salate di un tempo che ha smesso di essere tale, ma che si è lasciato dietro uno strascico lungo e affascinante come gli occhi tristi degli uomini di mare quando non stanno tra le onde.

Felipe cammina lungo la banchina del porto, stretto nel suo cappotto di lana marrone. Una brezza gelida sale dal mare, mentre il sole sparisce all’orizzonte. Stringe le mani nelle tasche, sbuffando nuvole di vapore che in pochi istanti si dissolvono nell’aria. La barba curata, gli occhiali con la montatura nera e squadrata, è un uomo distinto, Felipe, mezzo ungherese e mezzo spagnolo, cresciuto tra il vino e le salsicce, il comunismo e la dittatura, e le mille donne che avevano perso la testa per lui.

Lui solo per una l’aveva persa, la testa, ma in maniera così profonda e brutale da non riuscire più a ritrovarla.

Si ricorda come oggi Felipe di quella sera. Era andato al bar vicino al porto, ai tempi si chiamava ancora Occhio Rosso, una bettola di ubriaconi e vagabondi permeata da una cortina di fumo e pensieri tristi. Si era seduto al bancone e aveva ordinato un Southern Comfort liscio senza ghiaccio, mentre rollava una sigaretta. Sorseggiava il suo drink assorto a fissare le sue mani riflesse sullo specchio dietro la bottigliera dimentico di tutto intorno a lui. Mani ampie e robuste, con dita grosse e nodose come tronchi di vecchie querce. Ogni tanto l’affaccendarsi frenetico della cameriera dietro il bancone squarciava il suo torpore. Era una donna sui trent’anni, ma che già sembrava sfiorita, gli occhi truccati pesantemente, i lunghi capelli amaranto raccolti in una coda sulla nuca. Flirtava in maniera piuttosto esplicita con un giovane in felpa grigia accasciato mezzo ubriaco contro il bancone, ed era così assorta nel suo rituale di corteggiamento da dimenticarsi troppo spesso di servire gli altri clienti. Felipe non se ne curava più di tanto, Ascoltava la voce di Iggy Pop che usciva gracchiando dai vecchi altoparlanti e pensava a cosa lo attendeva. Era giunto ad un punto della sua vita in cui non poteva più aspettare, sentiva il bisogno impellente di un cambiamento, un nuovo inizio e sentiva che tutto questo doveva avvenire subito, prima che l’energia che si era impossessata di lui a quel bancone svanisse rigettandolo nei meandri di un’esistenza vacua e priva di scopo.

Chiese alla rossa di darle un blocchetto e una penna e cominciò a scrivere: UNO, smettere di fumare. DUE, pagare i debiti. TRE… Aveva appena finito di imprimere sulla carta quel numero nella sua calligrafia spigolosa e irregolare, quando lei entrò.

Era chiaro fin dal primo sguardo che non c’entrava nulla con quel posto. Indossava un elegante giubbotto imbottito lungo fino alle ginocchia da cui spuntavano due gambe dritte ed esili come steli, talmente magre da far temere a Felipe che potessero spezzarsi al prossimo passo. Ordinò una birra senza schiuma che la cameriera si ricordò di portarle solo dopo diversi minuti e nel mentre si sedette accanto a lui. Sbottonandosi il pesante cappotto aveva rilasciato una scia di profumo che aveva colpito l’olfatto assopito di Felipe come una rivelazione. Quel che accadde dopo furono anni intensi e indimenticabili, certo, ma lui già sapeva in quel primo istante che non sarebbe mai più riuscito a liberarsi di lei.

***

Il cielo ormai è completamente buio, neanche una stella a rischiararlo. Felipe sente le dita dei piedi indolenzite per il freddo. La sua mente si perde a ragionare sull’amara sorte degli esploratori periti tra i ghiacci dell’Antartide, o di qualche altro posto freddo e lontano di cui ha sentito parlare in uno di quei documentari televisivi. Un signore si avvicina camminando nella direzione opposta. Porta un basco e capelli bianchissimi lunghi fino al collo. Cammina curvo, lo sguardo basso, il passo veloce. Anche lui sembra assorto in un mondo lontano e invisibile. Incrociando Felipe accenna un silenzioso saluto, chinando la testa e sfiorando con la mano la visiera del basco. Felipe ricambia con un  leggero inchino, gesto che un secondo dopo gli pare già inadeguato e incuriosito si volta a guardare il vecchio allontanarsi, sulle spalle un grosso zaino che sembra contenere qualche strumento musicale. Si convince che si tratti di una tromba, o forse una tuba, anche se non ha mai nemmeno sfiorato uno strumento in vita sua, gli piace andare ai concerti jazz e discutere di musica come se fosse un vero intenditore.

Cammina ancora intrattenendo con sé stesso una disquisizione circa la natura dello strumento sulle spalle del vecchio, quando un’altra figura in lontananza attira il suo sguardo.

La luce fioca dei lampioni a gas la illumina quel tanto che basta a farne intuire le forme. Sembra una donna, ha una corporatura minuta e cammina veloce. Man mano che si avvicina i particolari affiorano più nitidi e distinguibili: indossa un voluminoso cappotto imbottito, scarpe con il tacco che scandiscono il passo affrettato. È ormai a pochi metri di distanza quando Felipe nota le gambe sottili e in un attimo il respiro si trasforma in un grumo solido in gola, il cuore comincia a battere con forza brutale contro lo sterno e i suoi occhi si fissano sul viso della donna, ancora avvolto nell´oscurità, cercando disperatamente una risposta. La luce del lampione la inonda tutto d’un tratto, svelando un volto sconosciuto, banale, insignificante.

Felipe si schiarisce la gola, quasi imbarazzato. Rovista agitato nella tasca del cappotto marrone cercando un fazzoletto con cui si soffia vigorosamente il naso. Pessimo tempo per una passeggiata notturna – mormora sottovoce quasi a volersi giustificare di fronte al pubblico immaginario che ha appena assistito alla sua inconfessabile debolezza, e risalendo quasi di corsa la banchina si dirige con passo deciso vero casa.

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